Vaccini e lavoro: il datore non può informarsi sulla volontà del dipendente di vaccinarsi.
Con provvedimento del 13 maggio 2021 n. 198 il Garante della Privacy ha approvato il documento Vaccinazione nei luoghi di lavoro: indicazioni generali per il trattamento dei dati personali, sancendo il diritto del lavoratore a decidere in autonomia e non informare il datore di lavoro in merito alle proprie intenzioni riguardanti il vaccino (di seguito il link al provvedimento: https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9585300).
Si legge nel provvedimento citato che “il datore di lavoro, salva la conservazione del documento in base agli obblighi di legge, dovrà astenersi dall’utilizzare tali informazioni per altre finalità nel rispetto dei principi di protezione dei dati (v. tra gli altri, il principio di limitazione della finalità di cui all’art. 5, par. 1, lett. b), del Regolamento) e non potrà chiedere al dipendente conferma dell’avvenuta vaccinazione o chiedere l’esibizione del certificato vaccinale“.
L’Autorità ha anche sottolineato in passato che “per la vaccinazione sul luogo di lavoro dovrà essere assicurato il rispetto del tradizionale riparto di competenze tra il medico competente e il datore di lavoro, messo in evidenza nel documento sul ruolo del medico competente in materia di sicurezza sul luogo di lavoro” e che “le principali attività di trattamento dati – dalla raccolta delle adesioni, alla somministrazione, alla registrazione nei sistemi regionali dell’avvenuta vaccinazione- devono essere effettuate dal medico competente o da altro personale sanitario appositamente individuato“.
Le regolamentazioni citate mirano alla rispetto della libertà di autodeterminazione e del diritto alla privacy dei lavoratori, limitando la possibilità per il datore di raccogliere informazioni dai dipendenti, dai colleghi o dal medico aziendale ed evitando così contenziosi in merito al trattamento differenziato dei lavoratori dovuto alla loro volontà di accettare la somministrazione del vaccino o meno.
Si sottolinea che tale struttura normativa consente, oltre che la tutela del lavoratore, anche la tutela dell’azienda e del datore, dato che si eliminano possibili reclami strumentalmente basati sull’atteggiamento scettico verso la campagna vaccinale Covid-19 eventualmente tenuti dal lavoratore.
L’atteggiamento dell’azienda verso l’attitudine dei propri lavoratori verso i vaccini, quindi, deve essere neutrale e non comportare alcuna conseguenza – positiva o negativa – di sorta.