LA CLASS ACTION: COS’E’ E COME CAMBIA.
Si è assistito recentemente all’ingresso nell’ordinamento italiano di un mezzo giudiziale dall’eco anglosassone: la class action.
Questo nome si legge spesso su giornali e riviste, ma i suoi confini rimangono oscuri.
La class action è un rimedio giudiziale che consente ad una pluralità di individui portatori di interessi giuridici simili o identici di aggregarsi e promuovere le loro domande in un’azione collettiva coordinata e volta ad ottenere una tutela verso un soggetto, usualmente con maggiore potere contrattuale, contro il quale sarebbe diversamente troppo difficile o troppo oneroso ottenere giustizia.
L’azione, in buona sostanza, dovrebbe consentire una migliore difesa del cittadino consumatore da controparti di dimensioni troppo grandi per avere un legittimo timore dell’azione intentata dal singolo.
Le origini, per lo meno in Italia, di questo rimedio giudiziali sono da ricercarsi nell’articolo 140 del Codice del Consumo che prevede che i consumatori “sono legittimati nei casi ivi previsti ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale:
a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate”.
In sintesi, quindi, i consumatori (o meglio, le associazioni di consumatori e utenti di cui all’articolo 139 del Codice del Consumo) possono ora agire in giudizio per far valere diritti individuali comuni alla categoria e interessi collettivi della stessa.
Per i non aderenti, in ogni caso, permane la libertà di agire individualmente per ottenere l’eventuale risarcimento spettante.
Tale azione, quindi, può sorgere quando una grande società con migliaia di clienti, si pensi al gestore di un servizio di telecomunicazioni, cagioni un danno a tutti o parte degli stessi.
Questi, invece di agire singolarmente, fanno causa in modo coordinato con altri soggetti portatori di una medesima posizione giuridica.
Dal punto di vista processuale il giudizio è relativamente semplice e non si discosta molto da quella che è la procedura ordinaria.
L’avente diritto propone la domanda mediante atto di citazione notificato alla controparte e depositato nella cancelleria del giudice competente.
A seguito della eventuale costituzione della controparte, poi, nel corso della prima udienza il giudice si pronuncia in merito alla sussistenza dei requisiti di legge, svolgendo una sorta di udienza filtro rispetto all’ammissibilità formale dell’azione.
ai sensi dell’articolo 140 bis comma VI del Codice del Consumo, una class action viene dichiarata inammissibile quando il Tribunale riscontra anche solo uno dei seguenti elementi:
1) quando l’azione è manifestamente infondata;
2) quando sussiste un conflitto di interessi;
3) quando il giudice non ravvisa l’omogeneità dei diritti individuali;
4) quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe.
Qualora il Tribunale ammetta la class action allora indica le tempistiche e modalità per effettuare la necessaria pubblicità di modo da consentire a tutti i potenziali aventi diritto di partecipare al giudizio.
A seguito dello svolgimento del giudizio la questione viene decisa con sentenza.
In caso di accoglimento della domanda il giudice determina il risarcimento spettante a ciascuno dei danneggiati che hanno aderito all’azione e definisce i termini per la parte soccombente per procedere al pagamento del dovuto.
La class action italiana, così come sopra sinteticamente descritta, non ha avuto ad oggi un grande successo.
Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Antitrust, infatti, “15 azioni di classe su 28 sono state dichiarate inammissibili dai Tribunali italiani” citando come casi di dichiarazione di inammissibilità più esemplificativi i seguenti:
ERRATA INDIVIDUAZIONE DEL TRIBUNALE COMPETENTE (Tribunale di Bologna, Ord., 04.03.2013)
ERRATA INDIVIDUAZIONE DEL LEGITTIMATO ATTIVO (sia con riferimento al singolo consumatore rappresentante della classe che alla Associazione in quanto attore iure proprio) (Tribunale di Torino, Ord. 27.05.2010 e Trib. Roma, Ord. 22.06.2012)
ERRATA INDIVIDUAZIONE DEL CONVENUTO (Tribunale di Milano, Ord., 20.10.2011)
ASSENZA DEL DIRITTO ALLA RESTITUZIONE (LE SOMME NON ERANO STATE ANCORA PAGATE) (Tribunale di Firenze, Ord., 30.05.2011)
MANCATA DECLINAZIONE DELLA CONDOTTA ILLECITA NEL CASO DI SPECIE (Tribunale di Milano, Ord., 15.10.2013)
PROPOSIZIONE DI UNA AZIONE PER UN ILLECITO CHE NON RIENTRA NELL’AMBITO DI APPLICAZIONE TEMPORALE DELL’AZIONE DI CLASSE (Trib. Roma, Ord., 29.03.2011)
PROPOSIZIONE TRAMITE L’AZIONE DI CLASSE DI DOMANDE NON PREVISTE DALL’ART. 140 BIS COD. CONS.(Trib. Roma, Ord., 20.09.2011)
ASSENZA DEL REQUISITO DI OMOGENEITA’ / IDENTITA’ DEI DIRITTI LESI (Trib. di Roma, Ord., 11.04.2011 ed altre)
(fonte: https://www.osservatorioantitrust.eu/it/perche-le-azioni-di-classe-vengono-dichiarate-spesso-inammissibili/).
Alla luce di quanto appena riportato la class action rischiava di restare uno strumento giudiziale potenzialmente utile, ma di fatto inutilizzabile.
Data questa esigenza il legislatore nazionale ha studiato una serie di correttivi ed è al momento in discussione in Parlamento una proposta di legge che consentirebbe di apportare dei correttivi alla disciplina vigente.
Ad oggi, la proposta di legge è stata approvata alla Camera dei Deputati ed è in attesa della valutazione del Senato della Repubblica.
Ma cosa prevede il testo di riforma?
In prima battuta l’azione verrebbe (in caso di approvazione della legge) eliminata dal Codice del Consumo e inserita invece nel Codice di Procedura, facendola passare da un’azione destinata ai consumatori a un’azione a disposizione di tutti coloro che, avendone i requisiti, vogliano associarsi per domandare una tutela risarcitoria ai destinatari dell’azione, identificata dalla proposta di legge come “imprese o enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, ferme restando le procedure di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari dei pubblici servizi”.
Il testo della riforma, poi, prevede una revisione della procedura in quanto a seguito della fase della decisione sull’ammissibilità (entro 30 giorni dal deposito della domanda) o meno dell’azione, seguirebbe poi quella sul merito della domanda, entrambe discusse dinanzi al Tribunale delle Imprese.
Da ultimo, in caso di accoglimento, la liquidazione dei risarcimenti sarebbe gestita mediante decreto del giudice delegato.
L’eventuale ordinanza di ammissibilità è impugnabile presentando reclamo entro 30 giorni dall’emissione presso Corte d’Appello, che a sua volta si esprime entro 40 giorni.
La riforma, poi, prevede a differenza della vigente normativa che tale provvedimento emesso dalla Corte d’Appello sia ricorribile in Cassazione per violazione delle norme del procedimento.
Ulteriore elemento oggetto di riforma nella proposta di legge è la modalità di adesione dei danneggiati alla class action, da molti additata come una delle principali responsabili dello scarso successo dell’azione nel sistema giuridico del Paese.
La proposta di legge prevede infatti che l’adesione alla class action possa avvenire con due modalità differenti: nella fase successiva all’ordinanza di ammissibilità dell’azione o nella fase successiva alla sentenza che definisce il giudizio.
Qualora un soggetto volesse intervenire a seguito dell’ordinanza di ammissibilità, egli dovrebbe fare riferimento ai parametri nella stessa contenuti che definiscono le modalità di adesione.
Di contro, in caso di adesione successiva alla decisione del giudizio, vi sarebbe un termine per aderire.
La proposta di legge afferma infatti sul punto che “Il tribunale, infatti, con la sentenza che accoglie l’azione, provvede in ordine alle domande risarcitorie e restitutorie proposte dall’attore ed accerta la responsabilità del convenuto; al tempo stesso, però, definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l’inserimento nella classe, individua la documentazione che dovrà essere prodotta dagli aderenti (anche da coloro che hanno aderito in precedenza) e assegna un termine non superiore a 180 giorni per l’adesione. Con la sentenza vengono inoltre nominati un giudice delegato, per gestire la procedura di adesione, e un rappresentante comune degli aderenti (che deve avere i requisiti per la nomina a curatore e può essere anche l’avvocato dell’attore)”.
Altra novità è rappresentata dalle modalità di corresponsione degli onorari ai rappresentanti della classe e agli avvocati coinvolti nella procedura mediante la possibilità di riconoscere una c.d. “quota lite” ossia una parte di compenso calcolata sulla base del risarcimento percepito dagli assistiti.
Tale modalità di pagamento, generalmente avversata dall’ordinamento italiano, è la conferma della tendenza a rendere la procedura più simile a quella americana, innestando la class action nel sistema nazione, piuttosto che creando un nuovo e originale tipo di azione.
In attesa del responso del Senato (che si ricorda: aveva bocciato una analoga proposta di legge nella scorsa legislatura) si può certamente apprezzare questo iniziale sforzo innovativo della disciplina.
Nonostante la sua introduzione, difatti, la class action non ha avuto sin ora molto successo, forse per timore del proliferare di azioni a danno del comparto industriale.
Si spera che la riforma, magari con emendamenti più coraggiosi e innovativi, possa consentire un maggiore utilizzo dello strumento dell’azione di classe per tutti i cittadini.